By Michel Neumayer | Published | Aucun commentaire
Anche se numero di pedagoghi, nella storia, ha avuto delle convinzioni religiose, sono stati percepiti tutti, più o meno, come i miscredenti. Questo è che non sono stati mai, in realtà, delle persone docili. Quando, intorno ad essi, molti si accontentano devotamente del disordine invalso, appaiono sistematicamente come degli impeditori di educare, come sassi nella scarpa. Di fronte a queste e quelli che stano reverendo le istituzioni e si prosternano davanti alle gerarchie, loro maneggiano volentieri la provocazione, addirittura la bestemmia verso ogni forma di cléricatura.
Mentre si ingiunge loro di rispettare l’uso e di fondersi negli apparecchi tecnocratici, si ostinano a fare del cattivo spirito cercando di sapere quali uomini si fabbrica. Quando dovunque, la regola di oro, tanto implicito quanto onnipotente, è di “non fare di onde« , creano lo scandalo e spingono il disordine invalso : »Ma perché la specie è tanto malefica coi suoi bambini ?« domanda Daniele Hameline.
E come Don Lorenzo Milani, considerato come un matto pericoloso per il papa sé stesso e poi esiliato a Barbiana dove fondi una scuola esemplare per tutti gli esclusi… che Anton Makarenko sospettato sistematicamente dal Commissariato dell’istruzione pubblica sovietica di troppa indulgenza coi delinquenti che accoglie alla colonia Gorki. È Joseph Jacotot, convinto che »ogni uomo può imparare tutto« egli, l’emarginato e l’esiliato che rifiutano ogni responsabilità istituzionale quando può, infine, ritornare in Francia. È Janusz Korczak, l’ispiratore dei diritti del bambino, martire di Treblinka che si oppone con violenza alle autorità delle scuole, degli ospizi e degli ospedali che »sciupano i bambini« . È Francisco Ferrer, libertario e pacifista, fucilato, cento anni fa esattamente che abbattendosi a gridato : »Viva la scuola moderna !« . È Célestin Freinet, bersaglio di attacchi ignobili dell’estrema destra, costretto di creare una scuola privata per mettere in opera la sua pedagogia, prima di essere sospettato dal Partito Comunista di essere un »nemico di classe« e di dovere lasciarlo. È Robert Gloton, infaticabile militante dell’educazione Novella, discepolo di Henri Wallon, creatore del Gruppo sperimentale del ventesimo arrondissement di Parigi, che riceve l’ostilità dei sindacati e il disprezzo, più o meno confessato, dei suoi colleghi ispettori. È Fernand Oury, »semplice maestro, maestro semplice » come lo dice lui stesso, che si ostina ad insegnare fino alla fine agli emarginati, rifiutando ogni onore ed ogni carriera universitaria…
Più modestamente apparentemente, ma in modo tutta tanto essenziale, sono gli uomini e le donne che manifestano in questo libro… insegnanti di ogni livello, formatori, lavoratori sociali, educatori, eletti locali. Come tanti altri, avrebbero potuto scegliere la facilità, iscriversi comodamente nelle istituzioni per fare carriera, imparare progressivamente ad erodere la loro collera davanti all’ingiustizia, a calmare i loro fastidi davanti alla stupidità dei « c’è da imperversare… » e la vergogna dei « tanto peggio per essi ! ». Avrebbero potuto praticare anche questa forma di schizofrenia sociale, così pratica oggi che consiste in nutrirsi di intenzioni generali e generose… pure facendo al quotidiano, esattamente il contrario di ciò che si annuncia. Si sarebbero potuti rifugiare in una posizione di strapiombo, ideologico o scientifico che permette di giudicare di tutto e di tutti al nome di un diritto alla critica che non si assortisce mai di un dovere di proposta. Si sarebbero potuti chiudere in « la bella sofferenza » di quegli e queste che si vivono come delle vittime per giustificare del loro immobilismo e si sciupano nell’estetismo del disperanza… Ma non ha fatto niente di tutto ciò ! Hanno, al contrario a volte con una grande bocca, a volte con una voce gracile, a volte soli, a volte in gruppi, a volte nei piccoli spazi, a volte in più grandi istituzioni, a volte per le iniziative pubbliche, a volte nella clandestinità, tentato di resistere. Resistere alla fatalità sotto tutte le sue forme : la fatalità dei doni e quella dei « eredi », la fatalità della « riproduzione » e quella della « pace dei cimiteri », la fatalità dell’esclusione e del silenzio imposta a più fragili. La fatalità dell’assurdità quotidiana di sistemi che sono diventati incapace di guardare in faccia a che punto producono il contrario di ciò che pretendono… Impieghi del tempo segmentato e suoneria stridenti permanenti per gli alunni che si vorrebbe formare all’attenzione ed alla concentrazione. Valutazione che riduce il lavoro scolastico ad una merce e rende come oggetti gli alluni che si vorrebbe fare progredire. Insegnamenti « magistrali » che pretendono captare un uditorio che si incoraggia, in realtà, a sviluppare delle strategie di fuga per fare fronte alla noia che trasuda. Esercizi meccanici che sono supposti formare la persona, quando l’assoggettano e gli vietano di accedere al carattere emancipatore degli sapere elaborati dagli uomini. Organizzazioni che riducono sistematicamente i cittadini ai consumatori, prima di rimproverar a loro dell’essere, di approfittarne per toglierle di tutta legittimità dei lori proposti, e di scostarli dell’esercizio collettivo del potere.
I militanti pedagogici storici, quelli dell’Educazione Novella al ventesimo secolo, quelli del LIEN oggi, non sopportano delle tali ipocrisie… Del punto di vista della loro comodità personale, hanno torto… Del punto di vista delle istituzioni, sono insopportabili… Diciamo francamente lo stesso : i pedagoghi sono dei rompiscatole. Mai contenti. Sempre a brontolare contro la terra intera. A mettere alla gogna le regole assurde – ma « che hanno fatto le loro prove » – come gli ordini sempre ripetuti – senza che, certamente, « tutto andrebbe via ! » Non ne occorre non più per emarginarli, addirittura ostracizzarli. E anche per impegnare al loro luogo una forma di persecuzione soft che dell’ironia sentita al disprezzo affisso, può contribuire a raggiungerli, e stesso, a fargli molto male… fino ad annientarli fisicamente talvolta.
È perché è così importante che i militanti pedagogici si iscrivono nelle reti e, non solo, comunicano tra essi, ma costituiscono dei veri rizomi, tessono pazientemente, e talvolta, per vie sotto terra, un micelio senza che sarebbero costretti all’isolamento e, talvolta spinto alla disperazione. Filiazioni, incroci di destini, grovigli di percorsi, tessiture, apprendimenti ed ibridazioni. Identificare chi siamo inserendosi in una storia, trovandosi in uno spazio dove la verticalità delle strutture istituzionali non impedisce lo sviluppo di solidarietà fondatrice. La micro-politica contro la politica-spettacolo. Le ramificazioni feconde, i collegamenti euristici, le invenzioni traviate, gli immaginari condivisi, gli incontri imprevisti e le soluzioni che prendono forma, gli scambi ed il brancolamento collettivo… Non sono solamente dei « metodi » ma un’alternativa in sè al funzionamento di una società alle volte liberale per le rivalità che coltiva e sclerotizzata dalla sua incapacità ad inventare delle nuove dinamiche.
Ecco questo di cui manifesta questo libro : che un’altra politica educativa è possibile. Semplicemente perché degli uomini e delle donne si impegnano e prendono sul serio l’educazione. Proprio sul serio. Questo vale a dire liberandosi di « questo spirito di serio » soffocante dei tecnocrati sufficienti e dei polemisti ignoranti. Questo vale a dire quotidianamente essendo con degli alunni concreti e dentro situazioni molto reali, e non sognando agli esseri astratti che avrebbero ad offrirsi solamente all’imposizione sacramentale delle mani pure degli scienziati patentati. Proprio sul serio. Vale a dire mettendo alla prova della determinazione collettiva le loro proposte individuali. Proprio sul serio. Vale a dire non pagandosi di parole, ma facendo degli apprendimenti effettivi la pietra di angolo del loro lavoro. Proprio sul serio. Vale a dire associando nello stesso atto – perché tutto è là – trasmissione ed emancipazione.
È che i miscredenti insopportabili che sono i pedagoghi hanno una fede incavigliata al corpo, all’anima, a tutto loro essere. Bisogna ricordare forse qui che la radice indoeuropea della parola « fede » significa « avere fiducia » e che gli autori latini non associassero per niente la « fede » alla religione. La fede tratta, difatti, non di una « credenza » ma di un « impegno. » « Avere la fede » qui, questo non è aderire a un dogma, né affermare una certezza. È decidersi su ciò che permette di pensare, di lavorare, di avanzare… di vivere. La fede non rinvia ad un oggetto fisso, ma ad un progetto di avenir. La fede non è un affare di commemorazione, ma di anticipazione. La fede, è il futuro incarnato… incarnato in un essere che nega di annientarsi nel godimento del presente, di sguazzare nei rapporti di forza contingenti senza sollevare mai la testa verso l’orizzonte. La fede, è ciò che spinge le istituzioni fossilizzate al nome dell’imperativo e dell’avvenire. La fede del pedagogo non è niente altro che questa breccia aperta nella comodità delle nostre sistemazioni mediocri e con quale facciamo un posto a quelli che vengono. Un posto che non definiamo per essi. Un posto che le lasceremmo prendere, et che avremo reso possibili.
« Tutti capaci » è la maestra parola dei gruppi di Educazione Novella e dei militanti del LIEN. « Tutti capaci ! »… Resta, certamente, a chiedersi di che cosa ! Per il peggio, sappiamo. Abbiamo già sperimentato… e noi misuriamo a che punto le pulsioni arcaiche possono fare ricomparire, dall’oggi al domani, la barbarie la più atroce. Ma, per il migliore, questo resta ancora da provare ! Si può abbassare le braccia, certo, si può accontentarsi di profetizzare l’apocalisse con la speranza di potere assaporare, un giorno, la soddisfazione del « Io c’è ve l’avevo ben detto ! ». Ma si può tentare anche la cultura dell’emancipazione, l’autonomia e la solidarietà, il pensiero critico e la costruzione del bene comuno. Niente di facile in questa impresa. Niente di assicurato a colpo sicuro, neanche. Niente non è mai assicurato a colpo sicuro nelle cose umane. Ma una speranza bisognosa. Modesto e stordita. A altezza d’uomo… L’unica scelta possibile. La scelta di questo libro.
Philippe Meirieu
Traduction : Pascale Lassablière